Il problemi che nascono nell'apprendere la lingua italiana, ovviamente dovuti inevitabilmente all'assuefazione dialettale, sono diversi: fonetici, morfologici, sintattici, semantici, paralinguistici...
che in dialetto è corretto, in italiano spesso non lo è. Se impariamo l'italiano ci tocca, per forza di cose, dimenticare, archiviare il dialetto che sempre influisce negativamente, in un modo o nell'altro, nell'apprendimento. E così ci ritroviamo ad essere ibridi, degli sformati culturali, né carne né pesce; non parliamo l'italiano come si deve e quel che peggio italianizziamo il dialetto, bistrattandolo. Tagliando la testa al toro: bisogna impararli entrambi, cari miei professori; così evitiamo anche di trasferire suoni, modi e forme sbagliati dall'uno all'altro. Chiaro?... Pensate a questo quando vi vien la smania di additare ai giovani un passato di tradizione linguistica nostrana, e soprattutto pensate a cosa avete fatto voi per conservarlo. Non avete forse confermato (nella vostra irresponsabile, innocente-nociva fannullaggine) il contrario di quello che intendevate additare? Oggi ci ritroviamo così stranieri in casa nostra a tutti gli effetti (né dialettali, né italiani). Studiare il dialetto, intendiamoci, non serve per impararlo ma, semmai, soltanto per non dimenticare, dimenticarlo, e non confonderlo con l'italiano. Un colpo al cerchio e uno alla botte, due piccioni con una sola fava, insomma, esemplificando. La nuovissima generazione parla una lingua mass-mediatica che non si capisce bene cosa sia: un misto tra romano e italiano maccheronico, con un inflessione da... lasciamo perde' ch'è mejjo. Questo è il danno professionale che ci hanno inferto coscienziosamente gli statali stipendiati. Cosa dice il vate a proposito?...
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Gianni Lannes a radio radicale
12 anni fa
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