La carrese. Questo antico documento, in forma prima orale, poi trascritto dal poeta Domenico Sassi, fa balzare subito agli occhi una significanza non trascurabile, e cioè: la trasparenza di un dialetto quasi abruzzese piuttosto che di uno tipicamente sanmartinese. Non mi sembra comunque attendibile che il Sassi, per quanto fosse ispirato dalla sua musa e in vena irrefrenabile di licenze poetiche, evadesse in siffatto modo la parlata locale a favore di un dialetto altro, sebbene strettamente imparentato. Ha riportato semplicemente la voce popolare, per quanto gli era possibile e/o riproponibile ... L'orale, trasmesso ab antiquo, quasi fosse un formula magica, ripetitiva, introiettiva, fa sospettare giustamente che una volta i dialetti del Basso Molise e quelli di una parte dell'Abruzzo, fossero meno diversificati. Mi sembra di risentire la voce di mia nonna... bejelle, lejere, mmejezze, parole che oggi suonerebbero strane o estranee alle nostre orecchie, assuefatte a quelle, forse troppo italianizzate, di belle, lîre, mmezze ... A parte qualche inevitabile licenza poetica consideriamo queste particolarità:
Gli articoli e pronomi lu, la, li e addirittura le, certamente saranno stati il passaggio intermedio dalla forme latine illu, illa, illi e illae a quelle ancora attuali 'u, 'a, 'i e l'. Questo canto così particolare, tramandato oralmente, che fa da proemio alla Corsa dei Carri, ha portato con sé questo divario linguistico, un po' come succede per le persone che, a San Geseppe, per es. pronunciano gessèmbe, senza nemmeno conoscere l'effettivo significato, ma riportando comunque, e questo è rilevante, il fatto linguistico così come è stato tramandato. Venendosi a formare gli articoli 'u, 'a ed 'i, le parole inizianti per vocale, per adeguarvisi, cominciarono in gran quantità a subire un processo aferetico, specialmente gli innumerevoli verbi inizianti per a- o per i-. - acîte > cîte Le preposizioni ugualmente si conformarono per lo stesso motivo. - de lu > d'u Può darsi che sia solo una forma di licenza poetica lo spostamento dell'aggettivo possessivo a sinistra, cosa proibitivo in modo categorico nel dialetto.
Teniamo però presente che questa inversione dà proprio il senso poetico, altrimenti degradato. Il fatto curioso è la gl palatale (ancora insita per es. nella parlata del santacrocese e nel casacalendese) che ancora non dava il sua esito in jj e il pronome ze (larinese, santacrocese, ...) invece di ce. Tentiamo una ristrutturazione della Carrese nell'ambito ristretto dialettale, tenendo in debito conto che l'accento metrico potrebbe cadere a volte anche sulla schwa, cosa che non succede quasi mai nel parlato. Non si sta ad ogni modo tentando una ri-composizione poetica, ma soltanto un confronto grammaticale... a scapito purtroppo della metrica, della bellezza formale e del senso poetico.
Sassi si è avventurato in qualche apocope un po' azzardata, ma proficua, come Gran Sande che, dialettalmente, per il fenomeno della sonorizzazione, suonerebbe Gran Zande; e gran fèsta darebbe gram bèste. Mentre suona bene lor gran. Ciò non toglie comunque che Gran Sande e gran fèstasi possano pronunciare venalmente così come sono scritti, senza la tipica sonorizzazione dialettale. Il poeta della Carrese, ad ogni modo, è vissuto in un contesto storico-linguistico piuttosto arcaico rispetto al nostro, e ciò va tenuto in debito conto, onde evitare trasposizioni linguistiche che informano arbitrariamente l'assenza, sformando ad hoc il tessuto dialettale del passato. Purtroppo il dialetto ha lasciato ben pochi documenti, rispetto alla variegata civiltà contadina di allora, e attendibile resta solo la memoria dei vecchi che purtroppo si perderà con loro. |
Gianni Lannes a radio radicale
12 anni fa
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