Dialetto sanmartinese
 
Grammatica del dialetto sanmartinese, proverbi, modi di dire, usi e costumi della civiltà contadina a San Martino in Pensilis
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martedì 1 dicembre 2009

Una bella scoperta venire a sapere...

Una bella scoperta venire a sapere di questa confusione semantica del verbo avé [VEDI il confronto del verbo avé - avere-dovere]. Come se non bastasse ci si mette di mezzo anche il verbo velé.

- i é vute significa io ho avuto, io ho dovuto e io ho voluto [sincope di v(el)ute].
- î é vuta fà significa io ho dovuto fare ma anche ioho voluto fare. Uno scacco all'io in questo meridione di pazzi direbbe Bene. Che c'entra dovere con la volontà?... Se si vuole, si deve; e ciò che si ha, si deve. È la complicazione semantica del Sud che non sa mai cosa vuole (lo deve ecc...) poiché non gli appartiene proprio la volontà. Diremmo sia fatta la sua volontà. Sarà forse per questo che il Sud è così
religioso. Chi mai sarà questo bel signore a cui bisogna fare la sua di volontà?...
Scacco matto!

"E sento che l'io è troppo piccolo per me, qualcosa da me prorompe ostinato..." (Majakovskji).

Da questa indefinizione (direi esistenziale) attinge la religione che ha il suo scopo politico di annichilire. E c'è addirittura qualche rappresentante del Supremo che intima il nò al nichilismo

"Complimentacci, monsignore... acci... Già!"
(C.B.)

Il linguaggio non apparterrà mai all'essere parlante (poiché è istituito a priori) e il dialetto ce ne mostra, nella sua ambiguità semantica (e nell'ambivalenza del sentire), un bell'esempio. 

Per quanto uno faccia di tutto per uscire da questo impasse in-significante, si ritroverà sempre nelle stesse sabbie mobili di prima. Allora?... Depensiamo...

Dipingere. Voglio dipingere... Non si può volere una cosa, se il Signore non vuole. E il Signore ha detto no. Volere, (al Sud) non è potere ma dovere, e tu non devi divertirti a dipingere. È la forza della legalità. Ma tu che vuoi fare?.... Voglio evitarvi, Sua Maesta! Sto già facendo... il conto dei danni che... mi dovreste?... Il condizionale è d'obbligo ... ma dove lo trovo il condizionale nel dialetto se questa forma si confonde col congiuntivo?... È inutile del resto imporsi... insistere... e (così invischiato nell'ambiguità semantica) non sono in grado proprio di imporre delle condizioni... non sono... non devo... volere. Ciò che ho, lo devo; e devo ciò che voglio, ovvero: ciò che devo. Non se ne esce più da questa afasia del linguaggio. 

Non per niente la Mafia è attecchita proprio al Sud facendo leva sull'omertà [lat. humilïtas]. Tacere è meglio che manifestare le proprie intenzioni [volere]. Proprie?... Ma il proprio [avere] è ciò che  devo...

Il dialetto è un documento formidabile, una prova incontrovertibile. Il linguaggio (non mente) è proprio ciò che dice. Non si può (è proibito dalla legge!) dire (o fare) il proprio (volere), pena la pena, il  samsara, l'eterno ritorno, l'autonomia linguistica che ci si rivolta contro. Per dire ciò che si pensa (o sente) si usa un linguaggio
prestabilito; si finisce, così, per dire ciò che non si pensa e pensare a quel che non si dice. Dir-lo?... non lo si potrebbe!...

Il Sud, dell'obiettività non sa che farsene, proprio perché non esiste nel linguaggio la condizione che la possa realizzare. Come si fà ad essere obiettivi se non ci appartiene un volere.

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