Dialetto sanmartinese
 
Grammatica del dialetto sanmartinese, proverbi, modi di dire, usi e costumi della civiltà contadina a San Martino in Pensilis
Altri blog dell'autore      Papi e Pupe     Televisionario     Divergenza     Vocemillenaria     Igienismo    Il lato oscuro di Wikipedia    

martedì 1 dicembre 2009

Alcune ipotesi sull'origine di San Martino

Il Tria, riportando quando scrive l'abate Giambattista Polidori, ci segnala che i Goti distrussero Cliternia (ubicata vicino al torrente Saccione) e che alcuni abitanti, sottrattisi alla furia distruttrice dei barbari, trovarono rifugio sopra un colle ove avrebbero edificato una chiesetta votiva a San Martino, vescovo di  Tour, venerato in tutta Europa. La data della distruzione di Cliternia, sempre secondo il Tria, è il 495 d. C. e trova conferma anche in altri storici che fanno risalire l'insediamento del colle tra la fine del V e l'inizio VI sec. d. C.
   Un dubbio che può sorgere spontaneo è: perché costruire così lontano da Cliternia?... Essa poteva benissimo essere una buona cava di materiale edile già pronto per l'uso, come è sempre accaduto nel medioevo, e anche dopo.
   In un attestazione del papa Pasquale II [1099-1118] mandato all'abate di S. Sofia di Benevento viene indicata la chiesa di S. Martini Episcopi in Biferno, attestazione riconfermata da Anacleto II [morto nel 1143]. 
   Dati alquanto lacunosi. Il dubbio è che sebbene il Biferno lambisce il vasto territorio sanmartinese (il più vasto del Molise) è pur abbastanza lontano, anche come un possibile eponimo che possa identificare il paese. Un altra ipotesi che si potrebbe fare è questa: si può considerare la possibilità che ci fossero uno, due o più piccoli agglomerati distanti fra loro, e forse nemmeno posti sul colle attuale. Di terremoti ce ne saranno stati e la distruzione di qualche casa o chiesetta consentì così lo spostamento nello spazio fino ad arrivare al colle attuale. La posizione sul territorio, a quei tempi, era una cosa prioritaria e costruire in pianura significava essere più esposti, quindi la plausibilità della scelta di un colle era più saggia ed appropriata. Però qualche casa non fa una città. La possibilità che gli abitanti, inizialmente (per i primi secoli) vivessero sparsi per le campagne, in tuguri e in piccole abitazioni, non è da escludere. Dopo la distruzione di Cliternia il paese avrebbe potuto nascere a tutti gli effetti più di qualche secolo dopo quel tragico evento; pochi abitanti scampati non fanno una città e così sparsi per il territorio, insieme ai locali, il loro numero aumentò. Di monasteri ce n'erano e quindi per i pochi abitanti di allora il rifugio in caso di pericolo era assicurato. Il problema forse giunse quando la popolazione del contado divenne rilevante e così si iniziò a costruire sul colle o altrove.
   Sembra che nella zona ci sia stata una cospicua presenza benedettina che aveva come centro San Martino a cui erano subalterni: Santa Maria di Casalpiano presso il torrente saccione e il monastero di San Felice.
   Quindi l'ipotesi che San Martino come cittadina sia nata verso l'anno mille o oltre e che prima di allora era soltanto un distretto ecclesiastico non sembra poi tanto campata in aria. La distruzione di Cliternia avrebbe così creato, secondo questa nostra ipotesi, soltanto degli abitanti sparsi per il territorio che secoli dopo, per il crescere del loro numero e per concessione del monastero (probabilmente San Felice), ebbero il loro territorio è uno spazio attorno alla chiesetta ove costruire
l'abitato. Sicuramente la pincera funzionò a pieno regime e sarà databile proprio a questo periodo, forse anche prima. A meno che essa forse iniziò a funzionare dopo uno spostamento di un certo centro abitato. Si può, continuando questa ipotesi, presumere che gli abitanti del circondario inizialmente avessero edificato nell'attuale posto ove c'è la contrada di Castel Vecchio, ovvero sopra la Pincera. Anche questo era un colle simile a quello sanmartinese, difeso da Nord e Nord-Ovest dalla conformazione del terreno a dirupo. Il toponimo Castel vecchio dà conferma di una possibile presenza di un centro abitato in questa zona. Può darsi che San Martino inizialmente era proprio la Pincera con le sue fornaci alle quali chiunque della zona vi attingeva materiale, compreso il monastero. Nacque inizialmente dalla fusione di artigiani del luogo: addetti alle fornaci, fabbri, falegnami, mugnai, contadini ...
   Con l'asportazione continuata del materiale argilloso, il paese Castel Vecchio non poteva che essere spostato più su, verso la chiesetta, ove già iniziava gradualmente a formarsi qualche piccolo agglomerato urbano attorno.
   Ci sarà stata una dimora fortificata di qualche signorotto. La contrada Rejale col suo nome dovrebbe far riferimento a un palazzo... medioevale?... Nella zona ci sarebbe stata, comunque, la possibilità di rifugio per gli abitanti in caso di pericolo. Non bisogna dimenticare che il rapporto servo-padrone nel Medioevo, consentiva agli abitanti del contado di rifugiarsi entro le mura del castello (o in un monastero) in caso di pericolo. Insomma la nascita immediata di San Martino dopo la distruzione di Cliternia potrebbe essere infondata. Sicuramente saranno passati
diversi secoli prima della nascita effettiva del paese, ovvero Mezzaterra.

   Dopo l'anno mille il paese non era ancora definito, non era un unità, un centro abitato unitario, era qua e là, con i centri più grandi magari  sul colle sanmartinese e quello della Pincera. San Martino era un contado la cui maggioranza delle abitazioni erano case di campagna, oltre ai conventi e al palazzo (o palazzi) del signorotto.

   Questo frazionamento, con l'arrivo degli albanesi, fece avvertire la sua fragilità e gli abitanti sentirono il forte bisogno di crearsi davvero una città; così nacque (o si ingrandì vistosamente) il paese vecchio: Mezzaterra.
   Evidentemente il nome indicherebbe una spartizione territoriale e gli abitanti si videro costretti a creare un luogo definito per evitare fastidi da questi stranieri in terra loro. Le carte le giocavano gli uomini di potere, i grandi di allora, e i sanmartinesi da soli non avrebbero potuto far niente contro le decisioni venute dall'alto. Quindi, i primi anni (o secoli che dir si voglia) sarebbero stati intrisi di rancore verso questo abuso ed espropriazione territoriale.
   Nella mia modesta e breve esperienza terrena, da infante e adolescente, ricordo le botte che i giovani sanmartinesi, irruenti, si scambiavano con gli albanesi di Chieuti, solo per il fatto di essere albanesi o per delle quisquilie. Il forestiero, il diverso, sembra che non abbia avuto buona accoglienza e attecchito nel cuore sincero del sanmartinese. Un'atavica insofferenza per il torto anzidetto subito. La spartizione territoriale di allora, facendola i padroni, per questi era completamente indifferente che il servo fosse albanese oppure sanmartinese; cosa che per quest'ultimo invece faceva eccome la differenza. La Corsa dei Carri stranamente, oltre che a San Martino, viene fatta anche nei vicini paesi albanesi limitrofi: Portocannone, Ururi, Chieuti. Ma non la si fa a Campomarino (paese della stessa origine albanese) che sta più in là di Portocannone e più vicino al mare e al circondario di Termoli. La corsa non c'è nemmeno a Montecilfone che è troppo distante territorialmente e dunque lontanissimo dalle vicende della spartizione territoriale anzidetta. Guglionesi, oltre il Biferno, sebbene non sia albanese, nemmeno pratica la corsa dei carri. Allo stesso modo Larino, sebbene ci siano delle feste con sfilate di carri trainati da buoi. Evidentemente la Corsa dei Carri propriamente detta, come appare oggi, ha qualcosa a che fare con la venuta degli albanesi nel nostro territorio e, poiché sembra alquanto improbabile farla risalire a un importazione oltremare, possiamo pensare giustamente che essa rappresenti un compromesso, un accettazione reciproca. [Un po' come avviene oggi nelle manifestazioni da parata fra India e Pakistan]. La corsa dei carri rappresentò un vincolo ai patti della spartizione territoriale.
   Penso che il carattere duro, a volte spietato, del sanmartinesesi sia forgiato proprio in base a quell'evento. È ovvio che oggi la questione è irrilevante, come può esserlo una goccia d'acqua in un bicchiere d'acqua, ma nei tempi andati doveva essere qualcosa di veramente importante, determinante. La corsa è apparsa in quel periodo su una tradizione precedente del luogo, forse simile a quella larinese. La gara subentra con l'arrivo degli albanesi. Precedentemente è probabile che ci potesse essere soltanto una processione di carri trainati da buoi, oppure una corsa senza gara. E come tutte le cose tradizionali (dialetto soprattutto) si perde, evolvendosi a ritroso, nel tempo, nell'immaginario religioso osco-sannitico.

   Il medioevo come si sa è caratterizzato dalla prolifica costruzione di rocche, castelli, conventi e la chiesa giocava un ruolo determinate nei conflitti di allora. La nostra zona, oltre ad essere stata invasa dai goti, passò poi ai longobardi, ai normanni, agli svevi, vide passare le orde degli ungari, scorrerie saracene, ecc... insomma era una zona abbastanza movimentata. Verso il mille doveva apparire come un pullulare di case di campagna, boschi, monasteri, rocche, palazzi di signorotti locali. Sebbene non ci fu, come al Nord, la formazione di una vita comunale vera e propria, si deve considerare la vita medioevale che continuava dopo il mille, con al centro il palazzo del signorotto, o il monastero, cardine di tutta l'attività che ivi si svolgeva.

   Nel periodo appena seguente le invasioni barbariche di certo il colle doveva apparire all'occasionale viaggiatore come un territorio per lo più boschivo e incolto, i cui abitanti sparsi nel circondario forse, soltanto per necessità, si erano dedicati all'agricoltura. Di certo non erano tutti cliterniani. Le poche capanne formarono nel tempo un piccolo villaggio e così, solo dopo il mille e rotti, si inizia a parlare un luogo chiamato San Martino in PLuogo però non vuol dire paese.

   La civiltà contadina sanmartinese rimase certamente scossa, colta alla sprovvista dall'arrivo degli arbresh. Del resto la popolazione, proprio perché dedita alla vita rurale, viveva dispersa per le campagne e non sentiva ancora il bisogno di un agglomerato urbano che la contenesse o la proteggesse. In caso di pericolo c'era sempre la possibilità di rifugiarsi nei conventi o nei palazzi dei signorotti.
   Probabilmente il colle poteva avere soltanto qualche bottega: da falegname, da fabbro-maniscalco, un mulino, mentre per la fabbrica di mattoni e coppi c'era la Pincera. L'economia curtense ancora regnava nella zona e gli scambi avvenivano sempre al suo interno, una comunità autosufficiente, tutto ciò di cui si aveva bisogno si produceva e si consumava in campagna. Del resto vi immaginate a quei tempi i contadini, sparsi per un vasto territorio, come quello sanmartinese, avessero voglia di ritornare, dopo il loro duro lavoro giornaliero, al paese, con i mezzi (e strade sterrate) che c'erano allora!
   San Martino si può dire che sia nata proprio con l'arrivo degli albanesi, come se di colpo ci si è accorti di avere un identità, se non altro una necessità di colpo avvertita: quella di difendersi dallo straniero. Almeno così l'animo popolare avvertiva questa intrusione.
   La nascita del paese verso il XV-XVI sec. è anche avallata dal fatto che, nei documenti o nelle cronache di allora, le catastrofi naturali, come i terremoti, antecedenti a questo periodo (per es. quello che distrusse completamente Ururi, Portocanduni, Magliano, Maglianello, Campomarino,... nel 1456), accaduti nella zona, non registrano la distruzione, o la menomazione strutturale di un paese che stesse sopra il nostro colle. Se il suo circondario, compresi i diversi paesi, erano stati distrutti perché non è stata  riferita la distruzione o almeno il danneggiamento di un centro che si chiamasse San Martino?... Semplicemente perché non esisteva e, ciò che non esiste, non può essere danneggiato o distrutto. Elementare Watson!...


Elaborazione personale di carta Geografica del Regno di Napoli di G. A. Rizzi Zannoni


ALTRE IPOTESI


[1]  Esisteva un insediamento medioevale sul colle (anche se non ci sono attualmente fonti che lo confermano) che fu distrutto (o seriamente danneggiato) dal terremoto del 1456 oppure da quello precedente. San Martino poteva essere un piccolissimo feudo rustico come quello ove era situata la chiesetta di Santa Maria in Auròle costruita verso il 945 e poi distrutta, intorno al quale ebbe origine l'abitato di Ururi.

[2]  È possibile che San Martino fosse soltanto il palazzo ducale (baronale), il cui colle sembra sia l'unico posto (per ubicazione topografica) ove si poteva controllare l'intero territorio circostante. Bisogna considerare anche il fatto che i confini di un territorio possano mutare nel tempo e, certamente, per quel che riguarda il periodo medioevale è difficile stabilirli a priori. L'attuale contado sanmartinese, in passato, era molto più vasto e magari sarà stato diviso tra vassalli minori. Ci potevano essere due, tre palazzi (o castelli), alcuni conventi. Casale Aurio, Portocandesium e San Martino potevano essere i tre feudi minori e sul colle primeggiava il palazzo principale. Il terremoto del 1456 distrusse così le abitazioni popolari (costruite male e con materiale scadente) del circondario sanmartinese ma non il castello (palazzo baronale), con le sue mura possenti, costruite a regola d'arte.

[3] - Dato l'enorme lasso di tempo (circa un millennio) tra la caduta di Cliternia (495 dell'Era Volgare) e le prime scarne notizie (a cavallo tra il XV e XVI secolo), si può supporre la presenza dinamica di un agglomerato urbano; ovvero un centro (posto sul colle) che esisteva a seconda delle vicende storiche,  geopolitiche o geofisiche (terremoti e pestilenze). Una pestilenza può distruggere un paese e spingere gli abitanti superstiti ad andarsene via ma, ancor più, i terremoti (secondo le statistiche, ogni cinquantina di anni ce n'è uno importante). Può darsi che il paese abbia avuto veramente origini medioevali ma nel corso del millennio (dianzi precisato) la possibilità che il colle fosse stato (diverse volte) scosso da un terremoto è un ipotesi accettabile. È facile pensare che se alcune volte si ricostruiva, può darsi che altre volte (anche per periodi abbastanza lunghi) si evitava di farlo. Ci sarebbe stato insomma sul colle, un aggregamento e uno disgregamento continuato nel corso del tempo, con la gente che comunque rimaneva sempre nel suo contado circostante. Quando accadde il terremoto del 1456 il paese non esisteva o non era ancora stato ricostruito.


Elaborazione personale di carta Geografica del Regno di Napoli di G. A. Rizzi Zannoni

1 commento: